Il Pasto Nudo: la via etica al cibo (Parte I)

5 novembre 2014  |  di Giovanna Bonu

Il Pasto Nudo è un attimo congelato. Quando ognuno vede cosa c’è sulla punta di una forchetta.
William Burroughs  capì solo al termine della sua tossicomania  il significato di Pasto nudo, titolo dato da Jack Kerouac alla sua raccolta di “note sul delirio”. Quella figurazione è molto lontana dal significato che vogliamo dare a queste riflessioni. Ma racconta un fermo immagine  svelante per descrivere l’ approccio al cibo e alla vita che questo meraviglioso blog, per il quale da oggi ho l’onore di scrivere, suggerisce.

Immaginatevi così. Con una forchetta in mano nell’attimo in cui guardate ciò che state per mettere in bocca. Cos’è quel nudo pasto che ci alimenta e ci da piacere? Da chi e in che modo è stato prodotto? Quanta sofferenza si nasconde dietro?

Preciso che questo è uno spazio di e per gaudenti. Nessuna velleità di salutismi o diete di sorta. Ci piace mangiare e bere. Bene. Ma quel bene va oltre il suo significato fenomenologico. E’ un bene “altro”. E’ un bene di tutti. E’ un bene di tutti per tutti. Perché i nostri sensi godono di più se quel boccone non è amaro per nessuno. Siamo convinti che la via etica al cibo sia la vera rivoluzione possibile oggi. In una società che poggia i suoi pilastri nell’ appagamento dei bisogni individuali il problema del cibo assume implicazioni culturali, sociali, storiche. “E’ dalle sue fondamenta che bisogna abbattere una costruzione per rinnovarla, non dai suoi piani più alti”, scrive Steven Best, avvocato per i diritti degli animali. Ovvero: se si vuole cambiare  sistema non bisogna assecondarne le pratiche che lo tengono in vita, ma creare  nuovi spazi liberati e nuove pratiche. Anche la cucina deve essere uno spazio liberato. Dalla sofferenza. Dallo sfruttamento umano, animale, del territorio.  Quando noi possiamo influire sul risultato è spesso difficile dire che scegliere di non intervenire equivalga a non fare niente. Sartre dice che anche scegliere di non fare niente è sempre scegliere di fare qualcosa. E allora scegliamo. Non voglio trattare in questo articolo della scelta vegetariana, riservandomi di farlo un’altra volta in modo più ampio. Ma le direzioni di azione sono tante. Dalla scelta dell’acqua e del pane a quella del cioccolato, dalla verdura alle creme di nocciole.

Questa volta ci occuperemo di cioccolato. Spesso l’ingrediente segreto di questa bontà sa di schiavitù e di sfruttamento. Il settore occupa ancora tantissimi minori nelle piantagioni di cacao, vittime di una vera e propria “tratta” che, secondo alcune stime, ne coinvolgerebbe più di 250 mila, di età compresa tra i cinque e i quindici anni. Benin, Togo, Ghana, Nigeria, Camerun, Burkina Faso, Costa d’Avorio. Qui il cioccolato non lo mangiano, lo raccolgono. Pagati appena un pugno di dollari, vestiti di stracci, rinchiusi in veri e propri lager, i bambini lavorano anche 20 ore al giorno. In particolare Ghana e Costa d’Avorio, con il 60% della produzione globale, sono i più grandi produttori di cacao al mondo. Metà dei bimbi provenienti da famiglie contadine lavora nelle piantagioni di cacao.

Poco è cambiato dalla stipula di vari protocolli firmati dall’industria del cacao nel 2001 per cercare di fermare questa moderna schiavitù. Sono passati anni da quando un articolo apparso  sul Knight Ridder Newspaper, diede vita allo scandalo che portò alla stipula di un  protocollo e che raccontò al mondo, con immagini scioccanti, come le grandi multinazionali del cacao usassero i bambini per la raccolta del cacao trattandoli come schiavi. Il dossier finì dai giornali al Congresso americano, che costrinse le multinazionali, da Nestlè a Hershey’s, fino alla M&M, famosa per la sperimentazione animale, a firmare l’accordo con cui si impegnavano a non usare più bambini come schiavi e ad applicare l’etichetta “slave-free”, per certificare che i loro prodotti non provenissero da piantagioni dove venivano impiegati bambini in schiavitù. Ma ottennero continue proroghe.

È qui che entriamo in campo noi.  E’ qui che possiamo influire sul risultato. Chiederti se nel prodotto che compri, oltre al cacao, c’è sfruttamento, inquinamento, sofferenza e spesso poca qualità, per l’aggiunta di ingredienti a basso costo ma nocivi per la salute e l’ambiente, e decidere di scegliere altro inceppa gli ingranaggi.

1 Commento a “Il Pasto Nudo: la via etica al cibo (Parte I)”

  1. Fabio Piredda scrive:

    un bellissimo articolo che solletica la coscienza…

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