Abbotto, Conjure & Chateauneuf-Du-Pape

20 giugno 2008  |  di Antonio Canu

Antonio AbbottoC’era una volta, non molto tempo fa, a Sassari un negozio di dischi degno del romanzo Alta Fedeltà, ma più figo e più vero di quello dei racconti di Nick Hornby. Un negozio nel quale potevi trovare tutti quei dischi che fino ad allora eri costretto ad ordinare dai “cataloghi” facendo l’ordine insieme agli amici per dividere le spese di spedizione, chè gli altri negozi quei dischi manco te li ordinavano. Ma sopratutto il bello del negozio era il proprietario. Un vero appassionato, dalla cultura musicale enciclopedica e dai gusti incredibilmente vari, nel quale trovai una vera e propia anima gemella musicale (“polimorfo perverso” è la definizione che ci avrebbero dato se la nostra patologia musicale fosse stata una analogamente variegata patologia psico-sessuale).
Il negozio si chiamava Pibus Dischi e il tenutario di questo postribolario musicale si chiamava e, fortunatamente, ancora si chiama – anche se non ci spaccia più stranezze musicali – Antonio Abbotto.
Da Pibus oltre che a comprar dischi ci si andava anche solo a perder tempo, a ridere, a parlare, intavolando interminabili discussioni a volte serie, altre deliranti, altre ancora assolutamente demenziali. Quando da un bellissimo ma nascosto angolo del centro storico la bottega di Abbotto si spostò in una zona più “di passaggio” non era raro che entrasse qualche signora a cercare l’ultimo di Zarrillo o il cd con le sigle dei cartoni, trovandoci infervorati a discutere di volta in volta su affinità e divergenze tra Khaled e Nino D’Angelo (con me che preferivo il primo e Abbotto, manco a dirlo, il secondo), Sepultura e isolazionismo ambient, Tortoise e taluni dei musicisti della “diaspora Davisiana” dei primi 70′s, sulla dimensione delle tette delle protagoniste dei film di Russ Meyer (immagginate la faccia della signora con bambino!) o sul senso recondito del suono di campane nel finale di Gola Profonda. Altre volte la discussione si allargava a molti altri interlocutori di passaggio e il dibattito si accendeva sull’organizzazione della cospirazione per eliminare fisicamente gli ortodossi appassionati di jazz, vero ostacolo al pieno godimento di quella nostra amata musica afroamericana, o su quanto fosse ottusa la stampa musicale italiana a parlare dei Can solo per “Tago Mago” con meraviglie come “Soundtracks” o “Ege Bamyasi”. Ma su quest’ultimo punto più che discutere si ascoltava e si imparava dal mitico Abbotto che, molti anni prima che entrassi in possesso del libro “Krautrock” – pagano evangelio scritto da Julian Cope – mi fece varcare le porte del cosmo che, com’è noto, stanno su in Germania.
Antonio era uno che se gli chiedevi un album che non riteneva degno di finire tra i tuoi dischi si rifiutava di vendertelo (a me una volta si rifiutò, perlappunto, di vendermi un cd di Khaled). Una volta ci andò un mio amico che mi voleva regalare non so che disco degli Alice in Chains (era il tempo del grunge imperante) ed ebbe l’infelice idea di chiedergli conforto. E lui:<<cosa? questa cagata per Antonio Canu? Rimettila a posto per favore. Se proprio vuoi regalargli qualcosa di questo genere compra l’ultimo dei Mudhoney che almeno è vero r’n'r!>>. Ma era anche uno che se, come ho fatto io, andavi lì e gli chiedevi consigli irricevibili del tipo: <<devo fare un regalo,per una persona che conosce la musica e ne apprezza la complessità. Vorrei un disco jazz ma che non sia proprio di jazz, raffinato, stimolante intellettualmente ma non privo di groove, moderno, direi quasi innovativo, ma che non dimentichi la tradizione>>, lui, anzichè rispondere con un bel vaffanculo ti guardava due secondi e senza stare troppo a pensarci ti rispondeva: <<Conjure, i Conjure ci vogliono>>.
Ne comprai due copie di quel disco meraviglioso, “Cab Calloway Stands In For The Moon”, una per me e una – come previsto – da regalare. E trovai, grazie a mr. Pibus, anche l’altro mitico disco dei ConJure “Music for the texts of Ishmael Reed”. Più che un gruppo un progetto i Conjure, con in regia Kip Hanrahan, ebreo-irlandese di New York ed enigmatica e geniale figura di produttore, compositore, percussionista, catalizzatore di talenti e forze magiche. Al centro di tutto Ishmael Reed, grande scrittore e poeta afroamericano, con la sua spoken poetry, le sue storie, il suo realismo magico afroamericano e la capacità di coniugare la tradizione dei griot e lo spirito del voodoo, dall’Africa a New Orleans via Cuba. A farsi rapire suonando ispirati come non mai: Allen Toussaint, Don Pullen, Leo Nocentelli, Bobby Womack, Steve Swallow, Olu Dara, Robbie Ameen, Giovanni Hidalgo, Milton cardona e molti altri. Un’orgia lenta di suoni che vanno dal blues al jazz, al soul, al new orleans sound, al funk, sconfinano nel pop e nel rock. Una miscela creola e speziata di musica che evoca le Loup Garou, Cab Calloway, gli spiriti degli antenati e la rivolta nera.
In abbinamento a questo piatto musicale nel quale la creatività intellettuale newyorkese elabora la popolare “cucina” cajun di New Orleans un vino francese della meravigliosa setta biodinamica della ‘Triple A’: “Les Vieilles Vignes” 2003, Chateauneuf-Du-Pape ribelle e non globalizzato prodotto dal Domaine De Villeneuve nella Cote Du Rhone. Inconsueto e nuovo nei suoi caratteri ma al contempo, nel suo rigoroso rispetto dei più rigidi dettami della agricoltura biodinamica, di genuinità antichissima. Con il suo bouquet ampio di mosto cotto, prugne sotto spirito, legni esotici e liquirizia, la sua bocca piena, intensa, avvolgente e calda d’alcool accompagna al meglio lo scorrere dei brani dei Conjure e il brindisi perfetto che con loro facciamo ad Antonio Abbotto ed ai tempi irripetibili del suo negozio dove ne scoprimmo l’esistenza.

16 Commenti a “Abbotto, Conjure & Chateauneuf-Du-Pape”

  1. sisterila scrive:

    grande Kanu, mi hai rispolverato una sopita bacheca di ricordi e riaperto un cassetto di memoria che avevo chiuso, insieme a Pibus…e lasciatò lì, ancora stracolmo di strane cose…. che saudade…. ma sai, io per fortuna ho continuato a dialogare con quella meravigliosa creatura, durante due lunghi, quanto deliranti, inverni “tumbaiani”..in cui abbiamo diviso e condiviso lavoro e cazzeggio….. mil beijos e muito axé
    SisterIla

  2. Antonio Canu scrive:

    grazie sistah, l’intento era proprio quello. lo sai che sono un inguaribile nostalgico! :-) ma soprattutto mi fa piacere che ci visiti con costanza.
    Spero di riuscire a venire a trovarti presto nel tuo pezzo di oriente ad l’Alguer.
    K.

  3. pippo santanastasio scrive:

    grande kanu, quando sei così ispirato riusciresti a convincere persino il famoso esquimese ad aquistare una cella frigorifera…!! Dell’ ubriacante delirio di nomi che hai sciorinato , conosco solo lo chateauneuf e il mitico @botto; in quanto a cultura musicale non potrei mai competere con due “maniaci musico-sessuali” come voi, PERò…… guarda a caso , ho scoperto di avere ancora una bottiglia di ” les vieilles vignes ” . Questa è la mia proposta , amico mio : tu porti la musica e io il vino…………e se Abotto leggerà il messaggio sono sicuro che non mancherà all appuntamento!!
    Adeusu

  4. pibus scrive:

    Grazie compagno,
    mi hai fatto ridere, ed anche rivivere bei tempi, marcati, come dici giuatmente tu, non tanto dalle vendite, sempre scarse, ma da quel ritrovarsi e parlare con e tra persone sconosciute, che lì si incontravano per la prima volta e che, più che comorare, volevano stare, incontrare, scambiare idee.
    Una cosa che ripaga di qualsiasi vendita mancata, una cosa che non ha prezzo (altro che MasterCard), talmente preziosa, e che ogni negozio di dischi, come ogni libreria come luogo di cultura, dovrebbe fare, prima ancora di masturbarsi con le frasche della Top-Ten (attività svolta, peraltro, senza nemmeno avere la buona creanza di indossare una tuta in latex!!!).
    Per la mia piccola esperienza posso dire che quando i venditori di supporti fonografici scoipriranno questo aspetto, allora avremo più negozi di dischi e meno bazar, più venditori di DISCHI e meno quaquaraquà (imperanti a Sassari) che non si sa a che titolo smercino suporti fonografici, sopratutto metendoli in vetrina come “Import Japan” quando sono pubblicati dalla Matador (americana), distribuita Wide (di Pisa) che lo si fanno fornire da Giucar (di Bologna) o da altro grossista tutto italiano.
    Mah, affanculo la nostalgia ed i quaquaraquà, in alto i calici!
    mi sovviene, assaggia uno Chateauneuf, non so se fosse ,lo stesso che tu dedichi a me ed al buon Kip (‘zarola!!!), ma era notevoile: SAPEVA DI VINO E NON DI ENOLOGO!
    Un abbraccio.

  5. pibus scrive:

    p.s. il disco degli Alice In Chains era l’asfittico e satollante “Dirt”, anno 1992 (si invecchia, eh!) ed era la copia americana, contenuta nella sua caratteristica scatolina rettangolare di cartone, e stava in bella mostra poggiato sul vetro in alto dello scaffale difronte alla porta, vetro su cui tronegiavano e box 3 cd di Philip Glass (“Music in twelve parts”) ed altrettanto “mattone” di Bruce Springsteen, non mi ricordo il titolo, ma mi sa che ora è addirittura fuori catalogo ( ‘ta dannu!…)

  6. Antonio Canu scrive:

    Caro Pippo Santonastaso (ma sei il fratello di Franco? l’amico di Minà e Sotomayor?) grazie dei complimenti ma soprattutto grazie dell’invito. Io di quello Chateauneuf non ne ho piu’. Lo comprai nel nuovo e coraggioso “angolo” enoteca di Dolcidea gestito dalla Mannoni family (di cui prima o poi sarà doveroso parlarvi quì su Taribari) – spazio godurioso ed eccitante di cioccolati e leccornie ma soprattutto di meravigliosi dolci sardi artigianali di fattura inarrivabile introvabili da altre parti se non, perlappunto, dagli artigiani che li fanno nei paeselli ingiro per la Sardegna – e non lo trovai più. Perciò compagno Abbotto organizziamo l’appuntamento con Pippo e beviamoci ‘sto Chateauneuf alla faccia del Pape ed in onore del nostro amato Durruti e della Colonna de Hierro. Muera la muerte, Viva la Vida!

  7. giulia scrive:

    E ancora di piacere mi vieni a parlare. Non ne conosco neanche mezzo, o forse uno o due, nella sequenza di nomi che snoccioli. Ma c’era questa cosa che succedeva la notte, tanto tempo fa, quando tenevo al minimo il volume del mio radiogiradischi di plastica argento, col piatto che regolarmente andava aggiustato e con la sferetta che un bel giorno diventò una testa di vite levigata alla bell’e meglio: c’era un tizio immerso fra le note musicali di una trasmissione notturna, uno con la voce soavemente scura e sussurrata come un tè nero al buio, che diceva nomi, e i nomi mi piacevano forse più della musica. Lo ascoltavo parlare, ogni notte, le U profonde, le consonanti che cozzavano.
    Ho una perversione da quando sono piccola. Mi piace sentir pronunciare la parola *prezzemolo*. A volte chiedo ancora esplicitamente di dirmela. Posso anche capire se una persona mi piacerà o no dal suo suono per *prezzemolo*.

    Ho una bottiglia di vernaccia senza nome. Col prezzemolo andrà benissimo.

  8. piero scrive:

    Antonio Kanu, ha giustamente raccontato l’Abbotto musicale ma io avrei ore di aneddoti sul personaggio enogastronomo, naif ma di grandissimi gusto e raffinatezza… Antò ti ricordi di quando per 3 anni di seguito ti sei “regalato” una serata nel mio locale; tu, in splendida solitudine, i miei piatti e una bottiglia di Sassicaia che ti scolavi finendo con un Saint James agricolo supervecchio… Che tempi! e che sane stonature!!!

  9. pibus scrive:

    Miei cari, finalmente mi ricollego al sito (dove trovo omaggio ai Thin Lizzy, mica balle!!!) e saluto tutti voi!
    Rubo solo un secondo per confermare la necessità dell’incontro a dase di Chateauneuf e Conjure!
    troveranno i nostri eroi il tempo per “mollare le menate e mettersi a lottare”?
    Speriamo. e speriamo che il canu, data la provocazione, trovi di che abbinare allo splendido Eugenio dei tempi d’oro, quello che i Marshall li faceva sanguinare pur essendo italiano, rochettone a palla, con Camerini ancora serio, pre-ero e (soprattutto) pre-arlecchino del 2000.
    …se solo avessi un cavasachi…

  10. Antonio Canu scrive:

    In effetti c’ho pensato più volte all’Eugenio (perartro come avrai notato citato in filigrana anche nel pezzo dedicato ate). Ma cosa mettere? il primo innovativo e di rottura con la musica italiana “Non gettate…”? o il mitico “Diesel” con la title track che ha un tiro da paura e oltre al Camerini ci sono il Callono e l’Hugh Bullen che pompano come poche volte si è sentito nel belpaese? bah ci pensero’. Intanto dopo le feste dobbiamo per forza organizare la chateauneffata.

  11. piero scrive:

    il mio campione di Chateaneuf è a disposizione se pensate che possa far parte della Reunion… non tardate perchè presto sarà troppo tardi…

  12. pippo santanastaso scrive:

    Si fa presto a dire CHATEAUNEUF!! ….vabè, se proprio insisti porta la tua zirriagga!!

  13. Chris scrive:

    Sei il solito ayatollah! Dirt non è completamente da buttare!qual’ era il cd dei Mudhoney?

  14. funcoolers scrive:

    …..gli abbiamo anche dedicato una canzone!

  15. antonio manca scrive:

    Il perché Antonio Abbotto non spacci più dischi è vino (missione per cui è stato mandato sulla terra) rimane per me, insieme all’utilità dello stivale estivo, uno dei più grandi misteri di Sassari.
    Grazie a lui ho scoperto i Fugazi e tante altre belle cose.
    Abbotto apri nu cazz e’ negozio di dischi!

  16. antonio manca scrive:

    Che sia stato lo sfoltirsi della capigliatura (l’ipertricotico veniva da me chiamato “cabbu di Hiroshima” perl’esplosiaone di capelli simil-fungo atomico) a togliergli l’energia musical-imprenditoriale? o semplicemente la crisi?

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di mille battute.


caratteri disponibili


ALTRI ARTICOLI