John Martyn, conversazione in famiglia
Conversazione tra Piero e me su un amore comune. Io e Piero, oltre che partners in crime nella redazione di questo sito, siamo accomunati da tante passioni. Durante la nostra ormai lunga amicizia abbiamo via via scoperto, fin dai primi incontri, affinitá elettive di varia natura: politiche e ideologiche, gastronomiche ed enoiche, musicali, letterarie e culturali in genere. Bene, molti anni fa mentre gli parlavo rapito della mia tardiva infatuazione per Nick Drake scoprendo l’ennesima comune passione, mi raccomandó di indagare quello che puó per molti versi essere considerato il suo gemello musicale, la sua “altra faccia della luna”: John Martin. E fu amore a prima vista e che ancora dura e ci porta dritti a questa puntata di “Canzoni ubriache” scritta a 4 mani.
Le mie due digitano mentre sono bloccato dai ritardi in aeroporto e, dio benedica quel monopolista di Steve Jobbs, ho sulle orecchie le cuffie del mio iPod nel quale ho selezionato i tre capolavori dei primi 70′s del vecchio John “Bless The weather”, “Solid Air” e “Inside Out”. Prima di questi tre inarrivabili capolavori il giovane folk singer scozzese aveva pubblicato 4 dischi passati poco più che inosservati ed era di volta stato presentato come il nuovo Dylan, il nuovo Donovan, il nuovo Tim Buckley. In realtà quelle prime incisioni e i concerti nei folk club avevano permesso al giovane riccioluto scozzese di mettere a punto una sopraffina tecnica chitarristica, di crescere enormemente nel songwriting portandolo alla perfezione, di farsi conoscere e apprezzare dagli addetti ai lavori e sopratutto dai coleghi musicisti del giro così detto folk revival (alcuni dei quali collaborerano a produrre la magia della trilogia), di plasmare la sua voce fino a riuscire ad usarla come uno strumento, di contaminare il folk degli esordi col blues, il soul, il jazz, il pop.
A metà anni ’70 la situazione psico fisica di Martyn iniziò a peggiorare complici dosi massicce di droghe e alcol. La sua musica come sempre fu lo specchio della sua anima: prima tornò al folk canonico, poi virò verso il reggae con “One World”, poi svoltò ancora con “Grace and Danger” diario in pubblico della fine del suo matrimonio e della conseguente grave crisi.
Ma veniamo al gioco di questa puntata di “Canzoni Ubriache”.
ANTONIO: Inizio sempre gli ascolti di John da un brano di “Solid Air” molto allegro e solare in un disco a tratti assai malinconico: “Over the hill”. Mi fa pensare a quanto vorrei andare a vivere in uno stazzo, in piena campagna, su una collina che guarda il mare. Che vino ci abbineresti maestro?
PIERO: I’m going away to leave you,
Going to leave you in disgrace.
Nothing in my favour,
Got the wind in my face.
I’m going home;
Hey, hey, hey, over the hill.
Over the hill;
Hey, hey, hey, over the hill.
Ehhhhh che bella! Richiama ballate gaeliche davanti a distese verdi; il nostro Uomo la canta con voce solare e mi porta a sapori dell’infanzia: Lu Casgiu Furriatu (letteralmente Il Formaggio che ritorna a se) un pasticcio di panna, formaggio fresco che viene fatto sciogliere in tegame e fatto rapprendere con poca farina bianca; si serve caldo con abbondante miele. Su questo dolce poverissimo e dall’esecuzione elementare un moscato spumante di Gallura; le bollicine e la dolcezza del vino saranno la migliore compagnia per l’ascolto di Oltre la Collina….
ANTONIO: mmm, chissa’ perche’ io avevo in mente di berci, a petto nudo ma con i calzoni di vellutino e il sudore che sotto il sole ci riga la schiena arrossata, un Capichera o un Matteu del vecchio Bustianu che si era andato scaldando poggiato sui tavolacci all’aperto. Ma anche il moscato spumante e’ perfetto per Over the hill, pero’ una bottiglia a testa, e bevuto a bucc’ampulla!
Ma veniamo ad uno dei nostri brani favoriti, sempre da Solid Air, “Don’t want to know”: la chitarra acustica pizzicata, il piano elettrico che disegna con incedere bluesy e quella voce che ti invade il corpo come un liquido bollente e ti racconta di quanto e’ difficile anche usare gli occhi se il mondo intorno e’ la merda che e’…cosa bere con questo desiderio d’amore in musica?
PIERO: forse te l’ho detto altre volte che “Don’t want to know” è tra le mie 10 canzoni più belle di tutti i tempi e anche oggi, dopo tanti anni che non faccio uso di derivati della canapa, mi regala gli stessi brividi che mi dava negli anni 70 quando la sentii per la prima volta; la canzone è bellissima ma è il brevissimo assolo di piano elettrico che è da pelle d’oca…”Non voglio sapere niente sul male, tutto quello che voglio sapere è sull’amore…”. L’ascolterei seduto per terra mangiando un risotto con salsiccia, zafferano e pecorino e, per te sarò scontato, ci berrei il Perdacoddura di Gianfranco Manca da Nurri. Vino caldo e maschio, profondo e carezzevole come la canzone di cui trattiamo.
ANTONIO: in questo caso non avrei saputo trovare abbinamento migliore. Prima di abbandonare il meraviglioso album del ’73 la title track: “Solid Air”. Parte con il basso leggendario di Danny Thompson in una delle sue migliori performances, poi si aggiunge la chitarra di John col suo stile “percussivo” e la sua voce usata come un sax tenore soffia calda parole di disagio. E ancora una volta e’ il magico lavoro di John ‘Rabbit’ Bundrick al piano elettrico a fare il resto di un arrangiamento ed una tessitura musicale che rende questo brano di straordinaria modernità. Ancora oggi sembra venire dallo spazio. Crooning da Venere lo chiamerà David Toop senza sbagliare di molto. E qui ti voglio mastru, che ci beviamo su?
PIERO: hai voluto lasciare a me il compito di ricordare a chi ci legge che l’Aria Solida era dedicata alla memoria del malinconico amico di sempre, il Grande Costruttore Incompreso di Poesia in forma di musica Nick Drake, una delle più grandi perdite della storia della musica. Solid Air va oltre l’idea di canzone, è quanto di più concreto e allo stesso tempo rarefatto potesse concepire John Martyn all’apice della cratività e anche una dichiarazione incondizionata di quella forma d’amore asessuata, ma non meno profonda, che è l’amicizia: “I know you, I love you and I can be your friend. I can follow you anywhere, even throught Solid Air…” Non riesco a scegliere un’unica bottiglia per un pezzo così bello: un primo ascolto con uno Sherry Oloroso dei primi anni 90 insieme a una tartina con bottarga di muggine di Cabras, secondo ascolto tre dita di Anghelu Ruju dei primi anni 80 con dei biscottini di mandorle e scorza d’arancia candita, terzo ascolto un Whisky di Islay della distilleria di Port Ellen con una ventina d’anni sulle spalle con del buon cioccolato fondente e quel sigaro Ramon Allones del quale parlavamo i giorni scorsi prima di entrare nel sonno/sogno ristoratore… ecco il link per godervela anche voi
http://it.youtube.com/watch?v=Kg_Utj4Aljc
ANTONIO: dopo i tre brani da “Solid Air” almeno un assaggio dal successivo “Inside Out”, da molti considerato lo ‘Starsailor’ di John Martyn. E’ infatti il disco dove John porta all’estremo le sue sperimentazioni sull’uso della voce e supera le strutture della forma canzone ispirato piu’ da certo jazz (John e Alice Coltrane, Pharoah Sanders, il Miles elettrico) che dal folk. L’esempio più tipico è il brano “Outside In” , oltre 8 minuti di trip interstellare. Ma il brano che preferisco è quello che chiude il disco “So much in love with you”, denso e scuro come la pece, il brano più soul di John nel quale quasi trasfigura da bianco a nero. Una dichiarazione d’amore fatta, seduto a fine serata con la testa tra le mani, ad un posacenere pieno e ad un fondo di bicchiere. Straziante e meraviglioso. Cosa c’era in quel bicchiere maestro?
PIERO: In quel bicchiere forse c’era un distillato di infimo ordine, di quelle cose che bevi , nella disperazione, solo per farti del male.E’ tutta la vita che mi chiedo qual’è il più bello tra Solid Air e Inside Out e, come è giusto che sia, non so e non voglio rispondermi. Dentro Inside Out forse c’è più il Martyn musicista mentre il poeta è più nell’altro lavoro, o forse scrivo cazzate per prendere tempo visto che non so ancora bene cosa abbinare alla canzone che amo di più di Inside Out: Make no Mistake. Amore, passione e un uso della voce bluesy ma senza paura di osare.
http://it.youtube.com/watch?v=o1kWiqKBAig&feature=related
Grande Musica=Grande Vino: Marchese di Villamarina del 1995 con il mitico Fiore Sardo di Gavoi di Matteoli e due pezzi di pane carasau cotto in forno a legna e bagnato in acqua di fonte. Oggi ho mandato il link di un intervista di John com’è oggi a un nostro comune amico che mi ha risposto: ” Che Dio faccia campare questo meraviglioso orco altri 100 anni!”
il link è questo:
29 maggio 2008 alle 10:36
http://www.johnmartyn.com/
a quanto pare salute permettendo john ci regalerà presto un nuovo album!!
29 maggio 2008 alle 20:40
Che bellissima notizia!!!