LA FINE DELLE FINZIONI.

15 gennaio 2010  |  di Piero Careddu

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Sento il bel profumo del cambiamento! Questa crisi è devastante e ancora la fine non è dietro l’angolo però una sua utilità l’ha avuta: tutti stiamo iniziando lentamente a capire che si può fare della cucina buona e vera senza spennare i clienti, senza perdersi in una finta ricerca affettata e autoreferenziale. Si avverte la necessità di tornare a lavorare principalmente sul sapore, sulla materia prima e sulle cotture, lasciando da parte le forzature estetiche, le scimmiottature filogiapponesi, lo scopiazzare (male) le spume sifonate ormai abbandonate anche da chi le ha inventate. (foto dell’autore)
 Ci sono i margini per ricominciare da zero, facendo grande cucina a prezzi umani, abbandonando quella provinciale voglia di stupire che in quest’ultimo decennio ha contagiato anche parecchi grandi nomi. Oggi sono poche le cose che possono stupirci: per esempio uno spaghetto al pomodoro ben fatto, delle patate fritte appenna sbucciate e tolte croccanti da un olio pulito, un minestrone estivo profumato e riposato…. si può fare!
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20 Commenti a “LA FINE DELLE FINZIONI.”

  1. Antonio Canu scrive:

    I LOVE YOU MAGISTER!

  2. Tommaso Sussarello scrive:

    W LU MINESTHRONI CIAGGADDU!

  3. Andrea scrive:

    Queste sono belle parole !!!
    Cresce in me la voglia di far visita al suo ristorante di Sassari…..

  4. salvatore scrive:

    grazie maestro, parole sante!

  5. presenza morena scrive:

    parole sante…. (e lavoro fotografico ottimale, come sempre)

  6. tonino arcadu scrive:

    Parole sante, ha scritto presenza morena, condivido pienamente;
    Facendo un parallelo: quando sarà che anche in Sardegna si prenderà atto che la tecnologia industriale enologica, applicata anche ai vitigni autoctoni, sta distruggendo l’ identità della viticoltura sarda? Quando sarà che capiremo che, pur facendo dei vini buoni, tecnologicamente perfetti, però, dal punto di vista dell’identità, sono dei vini bastardi? Quando sarà che inizieremo ad avere un pò di autostima delle nostre potenzialità enologiche e cercheremo di esplicarle?

  7. Andrea scrive:

    La risposta alle sue domande, sig. Arcadu, secondo me è molto semplice…… quel momento arriverà solo quando i produttori decideranno di non sottostare alle regole dettate dal Dio denaro e decidano di fare dei sacrifici per ottenere vini d’identità e purtroppo non è solamente il caso della Sardegna.

  8. tommaso sussarello scrive:

    Caro Tonino, torno oggi dalla visita ad un caseificio industriale, situato nel Capo di Sopra, che produce 30 formati di formaggi, oltre alcune ricotte, lavorando sino150.000 litri di latte al giorno. Si tratta di una realtà importante che produce in Sardegna e distribuisce all’85% oltremare proponendo molte referenze che hanno ben poco di sardo. Sai bene quanto condivido con te i valori legati all’identità ed oggi più che mai è necessario sostenerli con forza e intento condiviso. La realtà produttiva che citavo produce in Sardegna, stagiona e confeziona oltremare e fa riattraversare il Tirreno al poco prodotto distribuito sull’Isola, e questo non mi piace. Anzi mi pare surreale.

  9. Andrea scrive:

    Che strano ! non riesco a pubblicare i miei commenti…. è due volte che redigo un mio commento, ma non riesco a rileggerlo pubblicato.
    Proviamo ancora……

  10. Andrea scrive:

    Finalmente, ci sono riuscito !!!
    Volevo complimentarmi con il signo Piero per l’articolo e devo dire che cresce in me la voglia di visitare il suo ristorante a Sassari.
    Al signor Arcadu, con il quale condivido i pensieri espressi nel commanto, volevo dire che probabilmente la risposta alle sue domanda l’avrà solo nel momento in cui i produttori di vino, alcuni già lo fanno, non sottostaranno alle regole dettatate dal Dio denaro, ma riprenderanno a seguire quelle di Madre Natura, quelle del loro istinto e del loro sapere……. Grazie.

  11. piero scrive:

    Salve Andrea, io ho lasciato il mio vecchio ristorante sassarese già da qualche mese. Ora gestisco un agriturismo in territorio di Sennori. S decidi di venirmi a trovare contattami pure al mio cellulare 3396113290. Salute!

  12. Piero Careddu scrive:

    Tonino caro, non posso fare altro che ringraziarti del tuo intervento come sempre lucido e arguto. Sono cose che ci ripetiamo da anni e che servono a confermare che siamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Non basta naturalmente; il piccolo plotone di kamikaze che credono in un’agricoltura diversa, in una enologia diversa, in un mondo diverso deve diventare un esercito… Come si dice dalle nostre parti: calma e culo fermo! qualcosa sta cambiando…

  13. tonino arcadu scrive:

    IDENTITA’, non è una semplice enunciazione di principio, ma è una cosa sostanziale, un qualche cosa che può dare valore aggiunto ai nostri prodotti, è anche una questione di mercato, mi rivolgo ad Andrea che prima o poi conoscerò, oggi il mercato premia certamente i vini buoni, ma che abbiano riconoscibilità, non premia i vini fatti bene, ma internazionali, quei vini li vuole, ma a due euro la bottiglia. Certo non è facile fare i vini col profilo sensoriale legato all’uva d’origine, è più semplice costruire il vino in cantina, con le regole dettate dall’enologia Internazionale. Bisogna riiniziare dalla ricerca scientifica, sensibilizzare, per quanto possibile, senza genuflessioni da parte dei comunicatori sardi del vino, gli enopoli sardi, affinchè facciano la giusta ricerca o collaborino con chi, la ricerca fa, cioè l’università di Agraria di Sassari, che in questo momento, sta facendo grandi sforzi, con la produzione dei lieviti sardi, che sicuramente contribuiscono all’IDENTITA’

  14. tommaso sussarello scrive:

    E sapete a cosa serve questa benedetta identità? Ve lo dico io: Nella New York post Lehman Brothers, Nasdaq, Wall Street e banche, la finanza creativa ha avuto il suo crollo, l’immobiliare s’è ridimensionato e la ristorazione… è cresciuta! Si, è cresciuta e si sta evolvendo verso la tipicità, quella trasmessa dai territori. A leggere Adam Platt sul New York Magazine “sono finiti i tempi da vassoiate di Sevruga o delle magnum di Chateau Petrus da 5mila bigliettoni”. Come hanno fatto allora gli osti di Manhattan e Brooklyn? In grande ascesa le cucine regionali, perché nel grande spolvero dell’italianità gastronomica si inserisce un interesse che approfondisce le provenienze, al punto che, oggi su riviste e guide è facilissimo trovare l’aggettivo “piemontese” o (e non “italiana”) per un determinato tipo di carne. La cosa non vale solo per il Piemonte ma troviamo aperture regionali ovunque. Insomma il valore identitario, storico ambientale, sta forse ottenendo il suo giusto consenso!

  15. Andrea scrive:

    Grandissimo lavoro della Facoltà di Agraria di Sassari che mette nelle mani degli enologi un prodotto che in annate poco favorevoli gli consenta di ottenere vini d’identità, ma non di certo vini che hanno rispettato la natura…. Da buon appassionato di vino spero sempre che i lieviti che hanno permesso la realizzazione di un vino siano solo ed esclusivamente quelli presenti nella buccia dell’acino…. lo so, sono un utopista !
    Comunque a parte la mia visione romantica, dicevo serimanete sull’ottimo lavoro della facoltà, è un ottimo inzio selezionare lieviti indigeni.

    @Tommaso sussarello – senza offesa, ma sull’ ITALIANITA’ GASTRONOMICA gli americani o le loro riviste hanno ben poco da insegnarci

  16. tommaso sussarello scrive:

    @Andrea – nessuna offesa, anzi grazie per avermi consentito una precisazione! NON ho affermato che gli americani abbiano di che insegnarci. Quello che intendevo mettere in evidenza è il “valore” concreto che l’identità, intesa come patrimonio culturale, ha assunto sul più grande palcoscenico mediatico del pianeta. Quel punto è la Grande Mela. Non gli Stati Uniti, certo che no Andrea, parlavo di New York e dell’enorme importanza che quel luogo riveste per tanti orientamenti culturali, musicali, artistici, sociali e non solo, di noi occidentali. Torri Gemelle Docet. E del resto viva i lieviti autoctoni …ma viva sopratutto la pulizia in cantina, che fa la differenza!

  17. tonino arcadu scrive:

    Quindimi pare di capire, per ciò che dice Tommaso, che, il fatto di produrre vini omologati,” perchè così vuole il mercato”, non sia proprio vero, probabilmente è la scusa per non rischiare niente. Per Andrea, certamente i lieviti selezionati in Sardegna, non risolvono il problema, però sono un grande aiuto. Certamente la ricerca deve lavorare, quali sono le tecnologie di vinificazione per rispettare i profili sensoriali delle uve, quali sono i migliori port’innesti etc.etc. ILe Cantine, le Istituzioni, per ciò che gli compete, dovrebbero divulgare ed appliccare le ricerche, affinchè non rimangano inutili, cosa che avviene sistematicamente, oltre che per pigrizia,anche per motivi commerciali, “l’amico vende un certo prodotto”.
    Per questo motivo continuo a dire: ma quando sarà che….”ristruttureremo i nostri Nuraghi”( in senso figurato naturalmente), non vorrei che qualcuno prendesse sabbia e cemento ed andasse ad aggiustare i Nuraghi.

  18. Tomaso Ruzittu scrive:

    Stimolato dai vostri discorsi e bene accolto dalla vostra critica sul “Matteu”! Voglio intervenire brevemente su quanto potrà fare la ricerca sui lieviti provenienti da …. sopra la buccia.
    Credo, il nostro avvenire, sia proprio in questo segreto.
    Bisogna dare atto che prof. Antonio Farris segue da vicino questo problema e la sua passione, per trasferire la teoria alle pratica, risulta lodevole e stimolante.
    Bisognerebbe che tutti ci facciamo maggiore carico di questi insegnamenti e che lo aiutiamo anche nella divulgazione.

  19. Andrea scrive:

    Adoro parla di vino e del mondo che gli ruota attorno, e questo forum è un’ottima tavola di discussione!
    E’ vero che ultimamente non si fa che parlare di riscoperta dell’identità del prodotto e forse è importante che anche un centro nevralgico come New York (che conosco ben poco) ne valorizzi l’importanza in modo da smuovere le coscienze del resto del mondo, anche se penso che noi italiani siamo molto più sensibili all’argomento, secondo me sono pochi a non avercela intrinseca nel DNA, la cosa importante è ridarle l’importanza che merita.
    @Tonino – Condivido il tuo pensiero, da sommelier ed assaggiatore ritengo che un lavoro significativo, non conosco molto la realtà sarda da questo punto di vista, spetti alle due associazioni più importanti in Italia divulgare con competenza, come quella a loro riconosciuta, i passi in avanti compiuti per migliorare qualitativamente la produzione.

  20. tommaso sussarello scrive:

    Ferran Adrià chiude. Definitivamente. Un segnale importante: il 26 gennaio il “molecolare del Bullì” annunciava una pausa di due anni, oggi, 14 febbraio, la notizia che la chiusura è definitiva. Cosa andrà a combinare l’istrionico Adrià non ci è dato sapere, una cosa certa è che il menù degustazione da €230 non copriva i costi di gestione se è vero che la chiusura è per i conti in rosso! Allora evviva “LA FINE DELLE FINZIONI”. Caro Piero forse anche Adrià si è stancato dei sifoni (magari li usa in altra maniera!) ed anche da Barcellona è tempo si torni a guardare con profondità alle tradizioni, la storia ed i valori del territorio.

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