Canzoni Ubriache: la playlist 2008
Anche “Canzoni Ubriache” assolve al rito della playlist dell’anno appena trascorso. Quindici dischi brevemente recensiti con il solito abbinamento alcolico a cui la nostra oziosa rubrichetta vi ha abituato, più altri quindici solo elencati che sono rimasti fuori playlist di un soffio e che in molti casi avrebbero potuto anche sostituire i primi della lista. Buon ascolto e buone bevute.
LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA – “Canzoni da spiaggia deturpata”
Il più bel disco italiano da molti anni a questa parte è questo inciso da un genio di 24 anni, il sogwriter Vasco Brondi, nascosto dietro il moniker Le Luci della centrale elettrica. Testi di rara intensità interpretati con lucida furia e assecondati con maestria dalla produzione e dal contributo chitarristico di Giorgio Canali. Un Rino Gaetano in acido? un Flavio Giurato intossicato dall’inquinamento industriale? dei CCCP ora che “i CCCP non ci sono più”? Ogni paragone è riduttivo ed è difficile trovarne per imbrigliarne l’originalità e descrivere un disco devastante eppure bruciante di vita vera e mai rassegnato che trova le parole per dirci <<cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero>>.
Cosa berci su: (tanti) Campari Soda lisci e congelati.
STEVE VON TILL – “A grave is a grime horse”
Se il blues, prima e più che un genere musicale, è una categoria dello spirito allora i Neurosis sono probabilmente la più intensa blues band del pianeta. Se volete conferme su come e dove si origini il loro metal estremo ed evoluto ascoltale le 11 spettrali ballads quasi interamente acustiche contenute in questo disco solista del loro leader. Una voce profonda ed espressiva e canzoni strazianti e meravigliose che, immerse nel fango, ci fanno scorgere la luce malinconica di una scintilla di speranza. E poi c’è la cover di “Clothes of sand”, l’unica versione credibile e vera di un brano di Nick Drake che fosse possibile fare.
Cosa berci su: Bad King John, english black ale della Ridgeway Brewing.
TV ON THE RADIO – “Dear Science”
Il terzo centro su tre dischi per la band del carismatico Tunde Adebimpe elimina un po’ degli strati su strati con cui erano costruiti i dischi precedenti e mira all’essenzialità. Meno rock (nel senso di meno chitarre) e una decisa virata verso la dance (nell’attitudine e nel metodo più che nella sostanza) con gli spettri di Bowie e Prince a fare da numi tutelari del “suono guida” dei nostri tempi, del più autentico avant-wave-soul per gli anni zero.
Cosa berci su: un Black Russian fatto bene (chè, come tutte le cose semplici, farlo bene è difficile).
PORTISHEAD- “Third”
Già col secondo disco, con le dita sanguinanti dal troppo graffiarsi l’anima, guardarono in faccia tutti quei fighetti modaioli venuti per ballare e li mandarono a casa. Oggi dopo un’attesa durata 11 anni tornano con questo disco senza pelle, con i fili scoperti che ronzano e fanno scintille sotto la pioggia. Uno sguardo spietato sul questo mondo di merda gettato con compassione e con la consapevolezza che l’amore e l’affettività sono il lavoro vivo che ci salva. Su ritmiche motorik kraute che tanto devono ai Neu! si innestano gocce di pre-war folk, la sapienza dell’uso delle macchine e su tutto si eleva, contorce, sublima la voce ineguagliabile di un agelo caduto: Beth Gibbons, la donna più vera del music business.
Cosa berci su: Alvas il nuovo bianco “animista” di Gianfranco Manca.
ALBOROSIE – “Soul pirate”
Il più bel disco reggae jamaicano dell’anno l’ha inciso un italiano che vive in Jamaica da anni. Se possedete il cd d’esordio dei Reggae National Tickets, buon gruppo di reggae italiano che capitanava anni fa col nome di Steena, potreste non riconoscerlo: sbarbatello e pulito allora, un vero natty bredda oggi. “Soul pirate” è un disco di reggae moderno che ingloba roots, conscious reggae, lovers ed ha imparato la lezione dancehall e ragga pur tenendola sotto traccia, nel quale Alberto “Alborosie” D’Ascola rivaleggia con il divino Sizzla per convinzione, efficacia e stile. E soprattutto contiene meravigliose canzoni di grande reggae music. E poi volete mettere la soddisfazione per tutti noi bianchicci cresciuti col desiderio di essere neri vedere uno di noi che va in classifica in Jamaica? Lite yoar spliffs breddas, I and I lite mine!
Cosa berci su: Red Stripe beer, what else?
SEUN KUTI & EGYPT ’80 – “Many Things”
Il più giovane dei figli del Black President Fela Anikulapo Kuti guida col piglio da re leone l’ultima band che accompagnò il padre. Non c’è originalità qui né molto più di quanto l’eroico Fela diffondeva con la sua musica e le sue parole di rabbia e denuncia. Ma come non impazzire, ballare, sudare per il groove ineguagliabile di un afro-funk infuocato e suonato da dio da un’orchestra in trance ritmico? Alto il volume mentre festeggiamo un nuovo attacco degli eroici e bellissimi guerriglieri del MEND che bruciano un altro pozzo di petrolio nel delta del Niger.
Cosa berci su: fumateci su un po’ della felakutiana “expensive shit” o, se non vi piace inalare, un’annata recente del Luzzana di Cherchi.
MGMT – “Oracular spectacular”
Due frichettoni newyorkesi che rinverdiscono la sublime e dimenticata arte dell’arrangiamento di melodie 60′s e 70′s spruzzate di electromodernità. Se potessimo in 500.000 ballare nudi con fasce colorate intorno alla testa e labbra e occhi truccati su una spiaggia su cui si infrangono piccole onde di un mare inquinato in una Woodstock postatomica d’amore e spensieratezza, questi gioielli glamourous di perfetta pop music sarebbero la nostra colonna sonora.
Cosa berci su: vino rosso dozzinale dal collo di bottiglie anonime da passarsi l’un l’altro bavandone il collo.
VANESSA DA MATA – “Sim”
Gioiello di pop brasiliano per il mondo, il terzo disco di VdM incanta e incatena senza pietà. Venato di reggae, con Sly Dumbar e Robbie Shakespeare alla ritmica – discreti ma inconfondibili -, lucidato da ”Boa sorte” il singolo più catchy dell’anno cantato insieme a Ben Harper, esaltato dalla voce di velluto della poco più che trentenne Vanessa e superbamente prodotto da Mario Caldato Jr. e Kassim, “Sim” è un disco facile e ruffiano che ti si incolla addosso sensuale come il sudore che imperla uno splendido corpo abbronzato. E quest’inverno piovoso vi sembrerà già estate.
Cosa berci su: sarò scontato ma non mi viene in mente altro, fiumi di caipirinha. Come la fanno in Brasile però.
DUSK & BLACKDOWN – “Margin music”
Oltre il dubstep. Oltre tutto. Se il Burial di “Untrue” voleva dare una sentimentale rappresentazione musicale al soffio, al ronzio che tappa le orecchie martoriate dai bassi quando, alle soglie dell’alba, si va via da un club, D&B danno suono e voce alla strada che, dopo il tramonto, si fa per arrivare a quel club. Una Londra diversa, che inizia a vivere quando il sole va a dormire fatta di gruppi, etnie e comunità disparate con i loro slang, dialetti, lingue, odori e sapori. Brano dopo brano questo CD è un viaggio, un vagabondaggio senza meta, avanti e indietro lungo i margini della città: Limehouse, east London nel cuore della diaspora asiatica. Poi Green street, West Ham Southall, Wembley tra voci punjabi, hindi, hurdu. Il soffio del basso, techno senza battuta, spezie multiculturali, il suono delle radio pirata di east London, l’incrocio con lo spirito della Jamaica, con i nipoti degli immigrati da Kingston. Il viaggio notturno per Londra continua: Hackney Downs and Wick, Bow, Isle of Dogs. E poi Wood Grenn e le aree Turco-Kurde del nord di Londra e poi di nuovo a sud: Norbury e Norwood, Forrest Gate e Purley. E poi Croydon a incrociare Benga e il suo disco gemello “Diary of an afrowarrior” che anche avrebbe meritato la playlist. Tutta la Londra più autentica e meticcia in un cd. Un impagabile viaggio da fermo, con le cuffie alle orecchie e il volume al massimo.
Cosa berci su: non so perchè ma mi ha fatto venire voglia di un “milko”, una miscela calda di latte, caffè, alcool (non meglio precisato, forse whisky), cannella e spezie, che ha marcato nella mia mente un indimenticabile soggiorno londinese consigliatami in un equivoco bar illegale dal mio amico Antonio Cherchi, che di Londra sa tutto ciò che si deve sapere e anche di più.
MADRUGADA – “Madrugada”
Uno di quei dischi che ti fa venire voglia di urlare al mondo che il rock non morirà mai. Il rock quello classico, vero: 4/4, due chitarre, basso, batteria, inserti di piano e organo, i ritornelli e gli a solo lancinanti e una voce intensa, lirica, enfatica, che non si vergogna di urlare al mondo il suo drammatico romanticismo. Un rock nero come la pece, carico e denso. Vengono dalla Norvegia i Madrugada, ma si portano dentro il suono viscerale e disperato dei gruppi rock australiani degli anni ’80, l’America dei Dream Syndicate, il Nick Cave non riconciliato. Rabbia, catastrofe e cuore. E’ il loro settimo disco e quasi sicuramente sarà l’ultimo ed è un disco grandissimo.
Cosa berci su: Tobermory 32 anni, Scotch Whiskey dell’isola di Mull
ISOBEL CAMPBELL E MARK LANEGAN – “Sunday at the devil dirt”
Lui ha una voce d’orbace, calda, profonda e ruvida con la quale potrebbe leggere la famosa lista della spesa e farci venire comunque la pelle d’oca. Lei scrive e arrangia canzoni perfette e la pelle d’oca, oltre che con i suoi brani, la fa venire a guardarla talmente è bella. Dice di ispirarsi, nel comporre i brani per loro due, alle coppie leggendarie del passato come Johnny Cash e June Carter o Lee Hazelwood e Nancy Sinatra, ma nel mettere i suoi sussurri completamente al servizio della voce di Lanegan ricorda più Jane Birkin con Serge Gainsbourg. Che risuoni il folk o il blues rurale degli anni ’20, che rieccheggi lo stile di Leonard Cohen o di certo Nick Cave, tutto è perfezione in questo disco, tutto è bellezza, anche la ruggine, anche il fango della palude. Bellezza che ci salverà. Un disco senza tempo.
Cosa berci su: Evan Parker Single Barrel Bourbon Whiskey.
TRICKY – “Knowle west boy”
Cinque anni dopo “Vulnerable”, forse la sua prova meno convincende pur rimanendo una spanna sopra il resto, torna il ragazzo di Knowle West, Bristol, England. Dopo anni di vita e musica passati tra New York e Los Angeles il suo suono si reinglesizza rimanendo la “mista” inconfondibile del marchio Tricky: canovaccio hip hop, mood e ritmiche di blues urbano e tecnologico, l’influenza della Jamaica della diaspora, le sue linee vocali strascicate, intense e scure col contraltare di voci femminili e di altri ospiti che ci si attorcigliano, la puzza e il fumo denso dell’hashish dappertutto. E un pugno di brani che si collocano ai vertici della sua produzione (appena sotto quelle di “Maximquaye” e “Pre-Millenium”) e impongono anche al decennio che volge al termine lo STILE unico e inconfondibile col quale già aveva marchiato a fuoco gli anni ’90. The boy is back in town.
Cosa berci su: bere? perchè non vi basta quanto avete fumato?
DARGEN D’AMICO – “Di vizi di forma virtù”
Dai tempi di “SxM” dei Sangue Misto o, per avvicinarci nel tempo, di “Banditi” degli Assalti Frontali, un disco di rap italiano non era così pieno di senso. Certo ci sono stati gli sprazzi di genialità di Bassi Maestro, le cricche romane del Colle der Fomento e più recentemente del Truceklan, le pistolate napoletane dei Co’ Sang e le feroci guappate milanesi del Club Dogo e del primo Mondo Marcio e l’anomalia Microspasmi, ma niente da allora ha rieccheggiato lo spirito del tempo come i 35 brani di questo doppio cd. Basi e produzione di livello, creatività ed eccletismo inarrivabili e un’eruzione di rime perfette, sensate, a concetto, che puzzano di vita e inventano la narrazione di una generazione alla deriva nel mare di liquami che è questo paese. Iniziate dal “Il rap per me”, terzo brano del secondo cd e l’unico autoindulgente, per capire chi avete davanti. Poi “La ruota”, “Ci ricamo sopra”, “Limitato dal poeta” e il resto, anche a caso, centinaia di volte. Se tra 1000 anni, in un mondo senza di noi, qualche alieno volesse sapere chi e come eravamo e perchè siamo scomparsi speriamo trovi un cd come questo o come quello di Vasco Brondi e non qualche pugnetta di qualche sociologo da salotto. Capirebbe tutto.
Cosa berci su: Gin tonic con una spruzzata di Menta Sacco bianca.
AA.VV. – “Como now. The voices of Panola County, Missisipi”
Nel luglio del 2006 il musicologo Michael Reilly arriva nella piccola cittadina di Como in Missisipi sulle tracce del lavoro del grande Alan Lomax che lì aveva registrato negli anni ’40 dello straordinario gospel e scopre che il patrimonio musicale dei “cantanti di chiesa” di quel posto è ben più ricco e affascinate delle pur grandissime The Como Mamas che era andato a cercare. Il 22 di quel mese nella Mt. Mariah Church organizza la registrazione live dei canti a cappella che quasi tutte le settimane il reverendo Robert Walker e gli altri e le altre straordinarie cantanti (giovanissimi e anziani) di Como eseguono per rendere grazie al Signore. Niente a che vedere col gospel liofilizzato e popizzato che ogni anno nelle nostre città ci viene propinato sotto natale. Quì c’è l’anima nera del sud che rieccheggia secoli di storia, sofferenza, riscatto e passione con la legerezza di un sorriso. Non so se dio esita, ma se c’è è nero, battista e la bellezza di questo disco segna un punto a suo favore.
Cosa berci su: cazzo fratelli anche in chiesa volete bere! Segnatevi e pregate con me!
THE CLASH – “Live at the Shea Stadium”
Bei tempi. Negli occhi avevamo il rosso e il nero delle bandiere dei Sandinisti, del popolo del Nicaragua in rivolta che entra a Managua vincitore; nel cuore la dolce rivoluzione burkinabe di Thomas Sankara; nelle orecchie il suono di questi quattro cavalieri che sparavano sugli USA con le chitarre al posto dei kalashnikov. Pensammo si potesse fare la rivoluzione restando gentili. Dimenticammo la santa lezione di Robespierre che avvertiva: “la vita della rivoluzione passa per la morte dei suoi nemici”. Sconfitti, ci resta che abbiamo imparato la lezione per il futuro e ci restano queste canzoni della più grande rock’n'roll band del mondo e della storia registrate nel 1983 ma disponibili ufficialmente solo ora. E’ poco, ma per il momento ce lo facciamo bastare.
Cosa berci su: The Physics, bitter ale della birreria scozzese BrewDog.
Fuori di un soffio (ma da avere comunque):
FUCKED UP – “The chemistry of common life”
BLACK KEYS – “Attack and release”
CALEXICO – “Carried to dust”
VAMPIRE WEEKEND – “s/t”
TRAIN TO ROOTS – Acqua e fuoco”
BENGA – “Diary of an afrowarrior”
THE LAST SHADOW PUPPETS – “The age of understatement”
CASINO ROYALE – “Royale rockers”
DUB COLOSSUS – “A town called Addis”
MICAH P. HINSON and The Red Empire Orchestra – “s/t”
DIRTBOMBS – “We have you sourrounded”
BAUSTELLE – “Amen”
LAMBCHOP – “Oh (ohio)”
BORIS – “Smile”
MAJONG – “Kontpab”
25 gennaio 2009 alle 20:23
mi ritrovo con soddisfazione e ne traggo egocentrica rassicurazione. mi permetto solamente di aggiungere con umile intenzione non di propaganda ma di meritevole divulgazione, l’ultimo lavoro dei Terrakota, Oba Train. Da ascoltare senza dubbio, da apprezzare, se vi pare….
26 gennaio 2009 alle 10:27
Grazie sistah per la segnalazione. D’altronde gli splendidi Terrakota me li hai fatti conoscere tu e il loro primi 2 cd li tengo sempre nel cuore e a portata di mano per gli ascolti. Così come il ricordo del loro concerto dalle nostre parti da te coraggiosamente organizzato. Cercherò il nuovo cd di cui non sapevo ancora. Grazie
26 gennaio 2009 alle 11:16
non posso sciogliermi in complimenti altrimenti ci dicono che ci suoniamo e balliamo fra di noi però che mi lascino almeno dire che hai fatto, giornalisticamente parlando, un ottimo lavoro.
26 gennaio 2009 alle 20:14
e dove si comprano?
26 gennaio 2009 alle 20:53
Michè molti li ho comprati a Sassari, sono ben distribuiti. se no c’è internet. e sono pure più baratti.
27 gennaio 2009 alle 09:43
ciao antò…era una “battuta” per dire che effettivamente sembrano dischi che solo lontanamente si possono trovare nei negozi di sassari… ma se mi dici che son distribuiti provo… Internet poi certo… trovi tutto! Ho da poco acquistato un vibratore con luci intermittenti blu e rosse che manda email e ti avvisa quando devi fare la revisione del ferro da stiro!
27 gennaio 2009 alle 15:44
ehia Michè, ho poco senso dell’umorismo ma l’avevo intuito. solo che ho voluto incoraggiare i curiosi (non te che già lo so che curioso lo sei) a cercare anche un pò di musica fuori dalle rotte consuete. Poi qualcuno, a modo suo e nel ristretto mondo della musica altra, è un successo.
28 gennaio 2009 alle 00:58
Dirtbombs, Steve Von Till, Isobel e Lanegan intensamente (ci mettiamo anche Gutter Twins con Saturnalia?), ma una curiosità: i Gregor Sansa esclusi volutamente o è stata una svista? E la Torrini in vista del concerto del 14 a Roma? Ci ha delusi un po’ è vero? Qui al “gran magazzino F.” li abbiamo ancora tutti, non so più se esserne contenta….
Visto che ci sono e ancora per 5 minuti è il ventisette Gennaio, per chi non l’avesse ancora letto Le benevole di Jonathan Littell.
28 gennaio 2009 alle 13:08
“Saturnalia” per un periodo del 2008 è stato candidato ai primi 15, anche perchè oltre a Lanegan c’è Greg Dulli che meriterebbe di stare sempre in vetta per gli Afghan. Poi non so perchè ho smesso di ascoltarlo. boh!
Invece i Gregor Sansa sono una svista visto che non li conosco. Da come dici sembrerebbe una svista grave dunque mi metto in caccia da oggi e una volta ascoltati ti dirò. E compro anche Le benevole!
Grazie Bet
28 gennaio 2009 alle 15:23
Il titolo di Gregor Samsa è Rest, per le Benevole spero che per te sia il momento giusto per leggerlo, è terribile, stravolgente, io lo avevo da due anni nella mia libreria e solo ora sono riuscita a leggerlo, non riesco a levarmelo dalla testa, sono ancora sconvolta da questa lettura scomoda, atroce, nauseante, ossessiva che penso però sia importante fare e sulla quale riflettere. Fammi sapere.
28 gennaio 2009 alle 16:32
straordinario le benevole. in bene e in male
28 gennaio 2009 alle 18:51
Sior Canu è un vero piacere ritrovarla in quest’altra calle internettiana.
Inchinandomi come d’uopo prostrato ai tuoi piè (come recita l’immortale inno nulvese)…gradisco il menù sonoro presentato e soprattutto mi cimenterò in degustazioni uditive al ritmo di campari soda, lisci e congelati, l’animismo dell’Alvas, il dozzinale vino dal familiare collo ed un nostalgico “The Physics”!
Salutando cordialmente e ringraziando per spunti ed ospitalità.
G.